Oggi un teenager ha minori probabilità di guarigione di un bambino: arriva tardi alla diagnosi e troppo spesso non viene curato nei centri adeguati. Ecco cosa serve
Sabato 15 febbraio in tutto il mondo è in programma la dodicesima Giornata internazionale contro il cancro infantile e in Italia quest’anno al centro dell’attenzione c’è un obiettivo ben preciso: il miglioramento delle cure per gli adolescenti e i giovani adulti che si ammalano di tumore. Stretti in una «terra di confine» tra l’oncologia pediatrica e quella dell’adulto, infatti, i ragazzi hanno più difficoltà a ricevere una diagnosi tempestiva e a venire curati in centri adeguati, con le migliori terapie disponibili.
L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI PRECOCE – L’obiettivo della Giornata è quello di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, delle Istituzioni, dei pediatri e delle famiglie sulla basilare importanza di una diagnosi tempestiva, perché prima si riconosce il tumore, maggiori sono le probabilità di curarlo e guarire definitivamente. Nel nostro Paese, la federazione delle associazioni di genitori di bambini e adolescenti con tumori (FIAGOP), affiancata dall’Associazione italiana ematologia oncologia pediatrica (AIEOP) che riunisce i centri di cura e ricerca, promuove una campagna di sensibilizzazione sul tema specifico degli adolescenti, che presentano problemi particolari sotto più punti di vista: «Il loro organismo è ancora in fase di sviluppo e la malattia (intesa come la biologia del tumore, la sua tipologia) ha quindi spesso le caratteristiche tipiche dei bambini – spiega Andrea Biondi, presidente Aieop -. Inoltre, per questa fascia d’età non sono ancora ben definiti i limiti di età per l’accesso ai centri di cura (esistono limiti di legge che impediscono di ricoverare in pediatria persone sopra i 14, i 16 o i 18 anni) e l’arruolamento in protocolli clinici specifici. Senza considerare i bisogni complessi e peculiari legati alla delicata fase di crescita fisica, psicologica e sociale in cui si trovano».
MILLE TEENAGER SI AMMALANO OGNI ANNO – Fortunatamente i casi di cancro in età adolescenziale sono pochi (circa mille nuove diagnosi all’anno in Italia fra i 15 e i 19 anni) e, com’è normale, i ragazzi tendono a sottovalutare eventuali sintomi, così come genitori e medici di famiglia stentano a ipotizzare la presenza di una patologia tanto grave in un adolescente . Ma il «problema teenager» è ancor più evidente se paragonato a quanto avviene oggi quando ad ammalarsi è un bambino sotto i 14 anni: «Per i più piccoli i percorsi di cura sono ottimizzati e i tassi di guarigione sono in costante miglioramento – aggiunge Andrea Ferrari, oncologo pediatra, responsabile del Progetto Giovani dell’Istituto tumori di Milano -, mentre le statistiche indicano chiaramente che a parità di malattia e di stadio un adolescente ha minori probabilità di guarigione di un bambino. Soprattutto perché si perde molto tempo per arrivare alla diagnosi (quasi il triplo) e i giovani troppo spesso vengono curati nelle oncologie dell’adulto, dove non è diffusa in genere una specifica esperienza nelle patologie rare e particolari come le neoplasie che insorgono in questa fascia d’età». Proprio per promuovere e valorizzare iniziative dedicate ai pazienti adolescenti e giovani adulti malati di cancro è nata di recente la Società Italiana Adolescenti con Malattie Oncoematologiche (SIAMO), che vuole unire oncologi pediatrici e dell’adulto per rispondere alle esigenze dei pazienti adolescenti e affrontare in modo coordinato i loro problemi.
«LA DIAGNOSI È COME UN CATACLISMA» – Ad oggi circa il 70 per cento degli adolescenti guarisce e nella stragrande maggioranza dei casi può avere una vita normale, del tutto simile a quella di un coetaneo che non ha mai dovuto affrontare il cancro. È però fondamentale che, oltre ad essere curati nelle oncologie pediatriche specializzate, siano anche seguiti da equipe multidisciplinari in grado di garantire loro anche una buona qualità di vita. Ad esempio molto si può fare per prevenire e curare i possibili effetti collaterali delle terapie o preservare la possibilità di avere figli, «oppure per sostenerli psicologicamente in un momento di grande difficoltà – dice Carlo Alfredo Clerici, specialista in psicologia clinica dell’Istituto Tumori e autore del volume «La psicologia clinica in ospedale. Consulenza e modelli d’intervento», appena pubblicato da Il Mulino -. I ragazzi al momento della diagnosi, oltre a essere spaventatissimi, sono spesso arrabbiati e disorientati. Mancano loro le coordinate per capire cosa succede. L’impatto con la realtà della malattia è generalmente improvviso: prima stavano benissimo, poi iniziano ad accusare sintomi, fanno accertamenti e la diagnosi di tumore giunge come un cataclisma. La reazione più frequente è di incredulità».
VERITÀ E TUTTA LA NORMALITÀ POSSIBILE – Pazienti e genitori riferiscono spesso che «sembra di essere in un incubo, e aspettano di svegliarsi da un momento all’altro». Le reazioni iniziali, dice l’esperto, vanno rispettate e comprese: «Del resto – spiega Clerici – non è utile cercare di ridurre l’impatto della malattia raccontando agli adolescenti pietose bugie o mezze verità. Tra l’altro inquietano più gli sguardi preoccupati dei genitori e i sintomi fisici, che conoscere il nome malattia e sapere che ci sono cure da fare e una battaglia da combattere, che per quanto dura, si può vincere. E per fortuna da queste malattie si guarisce sempre più e sempre meglio». L’ambiente di cura è quanto mai fondamentale: deve offrire risorse adatte ai bisogni speciali di questa età, dove la malattia arriva a colpire il fisico e le prospettive per il futuro proprio nel momento in cui un adolescente ha bisogno di sentirsi forte, a proprio agio nel proprio corpo e al centro delle relazioni con i coetanei. «Lo choc iniziale – prosegue Clerici – lascia il posto alla tristezza o alla rabbia, che possono essere un modo per ritrovare la forza, ma che rischiano di creare barriere con il resto del mondo, con “quelli sani”, il contesto della scuola e delle amicizie. Paradossalmente è spesso proprio chi vive il problema – i ragazzi malati e le loro famiglie – a dover aiutare i “sani” a trovare reazioni adatte e utili. Non ci sono parole giuste o competenze sofisticate da avere. Un aiuto importantissimo viene dal riuscire a non far portar via dalla malattia tutta la normalità che è possibile ancora avere. In questo un grande ruolo può averlo la scuola dove gli insegnanti possono svolgere un ruolo fondamentale: tenersi in contatto con il compagno ammalato, passare i compiti, farlo sentire pensato dal proprio contesto che attende il suo ritorno, sono aspetti fondamentali. Può non essere facile, certo. Anche perché un adolescente ammalato può vergognarsi di uscire di casa, sentirsi brutto per la caduta dei capelli, essere triste e arrabbiato, ma se le relazioni con gli altri vengono mantenute, è possibile recuperare fiducia e forza rispetto al proprio progetto di vita».