Un progetto dell’Istituto Nazionale dei Tumori mira a curare i giovani nella loro dimensione: nè insieme agli adulti nè con i bambini.
fabio di todaro
MILANO «Dottore, perché proprio a me?». Prima ancora di chiedere lumi sulle possibilità di guarire, i ragazzi che s’ammalano di cancro pongono questa domanda agli oncologi e ai pediatri che si ritrovano di fronte. In realtà, come racconta Andrea Ferrari in «Non c’è un perché – Ammalarsi di cancro in adolescenza» (261 pagine, 30 euro, Franco Angeli Editore), un quesito così diretto non ha mai una risposta di pari efficacia. Partirà da qui lo specialista, nella presentazione del libro in programma nel pomeriggio (16,30) di mercoledì 8 marzo nell’aula magna dell’Istituto Nazionale dei Tumori, all’interno del quale Ferrari lavora. Al suo fianco ci saranno lo psicologo clinico Carlo Alfredo Clerici (prezioso il suo contributo nella stesura di alcuni passaggi del libro) e Paola Gaggiotti, coordinatrice artistica del Progetto Giovani per l’Associazione Bianca Garavaglia Onlus e coautrice della mostra «Ri-scatti».
L’esperienza del «Progetto Giovani»
Nel libro – la cui prefazione è firmata da Beatrice Lorenzin – Ferrari racconta quasi vent’anni di professione vissuta quotidianamente a contatto con gli adolescenti ammalati di cancro. Le storie di ognuno di loro sono uniche. Lo specialista ne riporta diverse, per arrivare a veicolare un messaggio di cui ha fatto una ragione di vita. «Gli adolescenti dovrebbero essere curati in spazi creati su misura per loro: né assieme ai bambini né assieme agli adulti». Cosa che, al momento, in Italia accade però soltanto in due centri: il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano e l’Istituto di via Venezian. In tutti gli altri casi questi pazienti, collocati in una terra di mezzo, finiscono per essere assimilati a persone con cui condividono una malattia: non però la prospettiva di vita né le esigenze del presente. In una fase delicata come l’adolescenza, occorre abbinare alla sapienza scientifica doti che non sempre fanno parte del bagaglio di un medico: amore, solidarietà, speranza ed energia. «Occorre alimentarsi di bellezza, per lasciare spazio alla speranza», scrive Ferrari, che non a caso s’è messo a capo del «Progetto Giovani»: un’iniziativa che punta a migliorare gli aspetti clinici che riguardano questi pazienti e a coinvolgerli quando possibile in attività ricreative.
Sono all’incirca 800 gli adolescenti che ogni anno scoprono di avere un tumore. I ragazzi possono ammalarsi di neoplasie tipiche del bambino: come per esempio i tumori renali di Wilms, il neuroblastoma, i sarcomi dei tessuti molli, i linfomi e le leucemie pediatriche. Ma anche di tumori peculiari dell’adulto: come il melanoma o il tumore polmonare o della mammella. Ciò fa sì che non sempre chi li ha in cura sappia che cosa è meglio fare. A questo aspetto occorre aggiungere che, visti i numeri esigui, l’industria farmaceutica non ha mai mostrato particolare interesse nell’investire in questo ambito. Peccato, visto che i progressi registrati negli ultimi quarant’anni nel campo dell’oncologia pediatrica (tumori infantili e adolescenziali) non hanno eguali. In media, oggi sopravvivono, rispettivamente, il 79 e l’82 per cento dei bambini e degli adolescenti che s’ammalano di cancro.
lastampa.it 6.3.17