MILANO – Almeno il 50% dei farmaci usati per i bambini non è testato per uso pediatrico, anche se si prevede che nei prossimi dieci anni le cose cambieranno: dal 2007, infatti, per ottenere l’indicazione pediatrica e l’autorizzazione dell’Agenzia del farmaco europea (Ema) i medicinali dovranno essere studiati con il coinvolgimento dei destinatari, ovvero dei bambini. «Questo significa che viene finalmente riconosciuta formalmente la diversità dei piccoli, che non sono affatto mini adulti, per cui basta ridurre le dosi dei medicinali, ma sono organismi in crescita con necessità specifiche» commenta Paolo Rossi, direttore del Dipartimento universitario-ospedaliero del Bambino Gesù di Roma.
RIGORE – «Sperimentare sui bambini richiede un rigore e una tutela ancora maggiori rispetto all’adulto; per esempio è importante che il protocollo sia stato approvato da un Comitato etico con competenza pediatrica o che si sia avvalso di una consulenza in ambito pediatrico – aggiunge Lorenzo d’Avack, presidente vicario del Comitato nazionale di bioetica -. E si deve tener conto delle differenze di età: se si coinvolgono ragazzi sopra i 14 anni è giusto consultarli, coinvolgerli, forn o spiegazioni adeguate alla loro età e alla loro situazione». Quanto al settore oncologico, la situazione resta critica. «Nonostante siano stati previsti incentivi (come l’allungamento della durata del brevetto) per le industrie che s’impegnano nello sviluppo di farmaci per bambini, gli studi dedicati ai piccoli pazienti scarseggiano – sottolinea Alberto Garaventa, responsabile dell’Oncologia pediatrica al Gaslini di Genova – perché le industrie non sono interessate per l’esiguo numero di malati coinvolti, a fronte di elevati rischi di tossicità tipici dei farmaci oncologici».