Che vita avrà un bambino curato per il cancro? Sarà un adulto sereno? Potrà mai considerarsi guarito? E per quanto dovrà fare i controlli? Risponde Riccardo Haupt
Come risultato dei successi ottenuti negli ultimi decenni in oncologia pediatrica, un numero sempre più alto di bambini ha superato con successo la diagnosi di tumore e ha già raggiunto o sta per raggiungere l’età adulta. Infatti si è passati da una percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi del 54 per cento nei pazienti che si ammalarono negli anni 1978-1982, a quella del 75 per cento in quelli che si sono ammalati negli anni 1993-1997.
Questi successi terapeutici sono stati ottenuti per tutti i tipi di cancro, ma con percentuali differenti. Infatti, mentre per malattie come la leucemia linfoblastica acuta e il linfoma di Hodgkin si stimano oggi probabilità di sopravvivenza a 5 anni rispettivamente dell’82 e del 93 per cento, per altre patologie quali i sarcomi dei tessuti molli, le leucemie non linfoblastiche acute e i tumori cerebrali, le percentuali di “guarigione” si attestano ancora su valori tra il 52 e 67 per cento. Si stima che in Italia come in Europa 1 soggetto su 650 – 1000 giovani adulti (20-40 anni) nella popolazione generale sia una persona che ha superato con successo la diagnosi di un tumore contratto in età pediatrica. La loro età mediana è tra i 21 e i 23 anni e alcuni di loro hanno già più di 50 anni. Se si ipotizza che con gli attuali protocolli terapeutici circa il 75 per cento dei bambini che si ammalano di tumore sono destinati ad una lunga sopravvivenza (e quindi possibilmente alla guarigione), si può calcolare che ogni anno in Italia circa 1200 persone si aggiungono alla coorte dei “lungo-sopravviventi” da tumore pediatrico.
In Italia, la popolazione dei soggetti “guariti” da tumore pediatrico è censita dal registro “off-therapy” (ROT) dell’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica (Aieop) in cui oggi sono inseriti quasi 13.000 soggetti. Si può usare la parola “guarigione”? Per discutere di questo problema, nel 2006 si è tenuto a Erice (in Sicilia) un workshop internazionale dove si è discusso sul concetto di guarigione dopo tumore contratto in età pediatrica e sulle modalità di follow-up a distanza delle persone lungo-sopravviventi. Da quell’incontro è emerso un documento «la dichiarazione di Erice» nel quale al primo punto si afferma: «Il concetto di guarigione fa riferimento solo alla guarigione dal tumore primitivo, indipendentemente da ogni eventuale rischio o presenza di invalidità o effetti collaterali delle cure. I bambini che sono stati curati per un tumore possono essere considerati guariti quando la loro probabilità di un eventuale recidiva del tumore primitivo è insignificante o molto simile a quella dei loro pari età di sviluppare lo stesso tipo di tumore». «Per la maggior parte dei tumori pediatrici si può considerare guarito ogni paziente che sia sopravvissuto senza recidivare per un qual certo numero di anni variabile a seconda del tipo di tumore. Pertanto, il momento in cui ci si può considerare guariti dipende dal tipo di tumore, dal suo stadio iniziale, oltre che da altri fattori di carattere biologico. In generale, questo momento si pone quando è passato, senza che siano comparse recidive, un periodo variabile tra i 2 e 10 anni dalla diagnosi».
Per quanto riguarda lo stato di salute degli ex-pazienti pediatrici a lunga distanza dai trattamenti, i dati della letteratura dimostrano che, se il follow-up viene esteso ad oltre 25-30 anni dalla fine delle cure, circa il 35 per cento dei soggetti fuori terapia soffre di effetti collaterali tardivi cronici che richiedono un trattamento sanitario. E’ importante che vengano adeguatamente seguiti e controllati, visto che circa il 23 per cento di questi ex-malati dichiara che questi quadri clinici hanno un impatto importante sulla loro vita quotidiana. Esposizione a radioterapia o farmaci alchilanti sono i maggiori fattori di rischio per la comparsa di futuri disturbi cronici, ma ovviamente molto dipende dal tipo di tumore per il quale si è stati curati e dalla tipologia di trattamenti ricevuti. Le complicazioni possono coinvolgere differenti organi ed apparati: in termini di frequenza, quelli più implicati in disabilità gravi o molto gravi sono il sistema scheletrico, quello neurologico e quello neuro-cognitivo, il sistema endocrino e i disturbi della fertilità o dell’apparato cardiovascolare.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è l’evenienza (rara) della comparsa di un secondo tumore: globalmente, soltanto circa il 5 per cento dei “lungo-sopravviventi” svilupperà un secondo tumore se il follow-up viene esteso ad oltre 30 anni dalla fine delle cure. In conclusione, la maggior parte dei soggetti guariti da tumore pediatrico è a tutti gli effetti guarita. Queste persone possono continuare la loro vita così come i loro pari di età e raggiungere gli stessi gli obiettivi scolastici, affettivi e lavorativi; diventare quindi a pieno titolo membri attivi della nostra società. Esiste peraltro una percentuale di soggetti che ha dovuto pagare un prezzo più o meno alto (a livello psicologico o fisico) per ottenere la guarigione: queste persone devono poter ricevere supporto adeguato per poter raggiungere gli obiettivi della loro vita. E’ compito e responsabilità degli oncologi pediatri, dei pediatri di base e dei medici di famiglia, quando gli ex pazienti transiteranno nell’età adulta, di monitorare nel tempo eventuali possibili effetti collaterali a distanza che potrebbero essere prevenuti o controllati con interventi mirati di prevenzione primaria o secondaria. In quest’ottica sta per essere attivato un programma europeo che aiuti a coordinare gli sforzi per giungere alla definizione di linee guida per il follow-up omogenee, ma individualizzate per tutti i cittadini europei guariti da tumore pediatrico.
Riccardo Haupt
Servizio di Epidemiologia e Biostatistica, Direzione Scientifica e U.O. Ematologia ed Oncologia Pediatrica Istituto G. Gaslini, Genova membro dell’Aieop