4youLab è dedicato ai ragazzi del reparto di oncoematologia del Bambino Gesù di Roma
di TINA SIMONIELLO
Musica, ballo e una radio, un progetto per gli adolescenti che si ammalano di tumore
LA FESTA è bellissima, il locale è alla moda, a Pietralata, uno dei quartieri della nuova movida romana. C’è un bravo dj e il barman fa ottimi cocktail. C’è una radio che trasmette in diretta, e immagini proiettate sulle pareti. L’età media è bassa. È una festa di adolescenti. Hanno fatto tutto loro, ragazzi e ragazze di 18-19 anni, anche di meno e anche di più. E sono tutti lì, contenti. Si vede benissimo.
È una festa normale, insomma. A quell’età sono più o meno tutte così. Ma anche qualcosa di più: è l’occasione per lanciare 4YouLAB, il progetto del dipartimento di Oncoematologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dedicato agli adolescenti che coinvolge una cinquantina di pazienti e ex pazienti oncologici coordinati da un team interdisciplinare di medici, psicologi, infermieri e da un project manager. È un progetto nato per limitare l’impatto che un tumore provoca sulla vita sociale e non solo dei ragazzi, e che prevede attività ludiche ma anche formative. È uno spazio, e un tempo, di creatività e progettualità. E stasera siamo alla sua festa ufficiale di inaugurazione. E infatti ci sono tutti: ragazzi in trattamento, ragazzi in follow up, quelli guariti, amici, compagni di scuola, fidanzati e fidanzate.
IL BISOGNO DI NORMALITA’. “Nel 2015 abbiamo sottoposto agli adolescenti del reparto un questionario, per comprendere quali fossero i loro bisogni”, racconta Giuseppe Maria Milano uno dei pochi adulti presenti al party insieme a chi scrive, medico del reparto di Oncoematologia e Medicina trasfusionale del nosocomio pediatrico e responsabile di 4youLab. “Dall’analisi dei dati è risultato che volevano normalità e contatto. In ospedale si sentivano accolti, ma mancava la possibilità di progettare qualcosa, di lavorare su qualcosa, di scambiare con altri le problematiche di un corpo che cambia… Così nel 2016 – continua Milano – abbiamo creato un team multispecialistico e quest’anno abbiamo cominciato a incontrarci con i ragazzi, quelli che stanno ancora dentro alla malattia e quelli che ne stanno fuori. Sono incontri aperti, una volta al mese. Lavoriamo su progetti, questa festa, 4youParty è uno. È il di lancio di 4you”.
UNA RADIO. Fra i tanti progetti, c’è anche quello di una radio, dove i giovani pazienti possano esercitarsi come veri professionisti. “Abbiamo diverse idee per il futuro – racconta Milano – stiamo pensando a una radio interna all’ospedale, abbiamo in programma progetti ludici e anche di orientamento allo studio o alle professioni. Il tempo passato a curarsi non può essere un tempo congelato. E l’adolescente malato di cancro, o che ha vissuto l’esperienza del cancro, non è un adolescente abbattuto. Il cancro non è un’ entità sovrannaturale, non è un simbolo. È una malattia, che si cura e da cui si può guarire”, chiarisce il dottor Milano.
DISEGNA COSTUMI. E. è un’ex paziente, al primo anno di scienze infermieristiche e disegna costumi. Che sono qui, al party: montati su 4 manichini, subito all’entrata del locale, ci accolgono coloratissimi. Nel 2013 si è ammalata di leucemia mieloide acuta, sei mesi dopo la diagnosi ha avuto un trapianto di midollo. Racconta: “Per sei mesi ho trascorso una settimana a casa e un mese in ospedale. Ora sto bene, sono al primo anno all’università. Sì, la mia scelta ha a che fare con la mia esperienza”. E i costumi? “Ho sempre avuto la passione per i vestiti, questi li ho pensato quando ero in ospedale. E poi li ho realizzati per una buona causa, i progetti di 4you”. “È importante in ospedale la distrazione, anzi è fondamentale – riprende E. – serve a non stare focalizzati sulla malattia e sugli effetti delle cure. Il progetto 4you ci sta impegnando, ma non come ragazzi malati”.
LA FORZA DELLA CONDIVISIONE. M. 19 anni, anche lui studia scienze infermieristiche. Leucemia linfoide acuta a tre anni, non fa più controlli regolari ormai dal 2009 “solo uno ogni tanto”, dice. “Ero piccolo – riprende – ma ricordo tutto, ero al parco con mio padre, e non riuscivo a salire sui gonfiabili, mi sentivo molto debole. Poi la febbre, poi l’ospedale, poi la diagnosi. Io credevo che tutti bambini prima di andare all’asilo dovessero trascorrere un periodo all’ospedale”, dice M. ridendo. “È una specie di famiglia quella degli ex pazienti , dei pazienti, dei medici e del personale. La condivisione di una esperienza così forte ci ha unito molto. Ci vediamo una volta al mese, siamo tanti. Quello che dico a chi ancora in trattamento è di non mollare: come sei entrato esci”.
N. 19 anni, studente di Economia gestionale. Leucemia linfoblastica acuta a 14 anni, attualmente in follow up. “Mi hanno chiamato dall’ospedale l’anno scorso, per chiedermi se volevo giocare a pallone per la Winner’s Cup (la Winners Cup è un torneo di calcio per adolescenti in cura nelle oncologie pediatriche italiane). Sono andato a una riunione e poi sono partito per il torneo. A calcio gioco terzino destro”. La vita dopo la malattia è una vita normale: studi, hai amici. “Forse con chi ha condiviso la tua stessa esperienza sei più spontaneo, sai di potere affrontare discorsi più seri con loro”, dice N. E aggiunge: “ll progetto è una bella idea. Il nostro obiettivo è sostenere chi ci sta ancora dentro. Non sono ragazzi tristi, malinconici, sono ragazzi come tutti quanti”.
L’importanza di fare cose. F. 19 anni, due anni fa ha avuto un trapianto di midollo, perché era affetto da mielodisplasia, una patologia che se non curata evolve in leucemia. Oggi è iscritto al 2° anno di fisioterapia. Per carattere e per piacere – dicono qui quelli che lo conoscono – F. è un po’ il pierre del progetto. “Ho pure parlato con la ministra dell’istruzione – racconta – 4you è un’esperienza che doveva esserci. Dalla prima riunione c’è stata empatia, ci conosciamo da un anno, anche meno, eppure sembra di conoscersi da sempre”. La malattia cambia? “Io non ero uno sportivo, poi mi sono detto: se non mi butto ora che sono uscito… Anche io l’anno scorso ho partecipato alla Winner’s Cup”. Ruolo? “Difensore”. “La cosa bella – dice F. – è che facendo cose non stai a pensare al tempo che passi ai box. Forse la nostra esperienza di malattia aiuta a risentire meno dei problemi di tutti i giorni.”
Il PREGIUDIZIO. M. 18 anni, ultimo anno di liceo, capelli lunghi lisci. M. sta ancora curando un gist (gist sta per tumore stromale gastrointestinale). “Io della malattia evito di parlare. Un po’ perché sono riservata, un po’ perché gli altri ti guardano in modo diverso se sanno che hai un tumore. “M. si è impegnata moltissimo per il video”, ci avvisa Giuseppe Milano, mentre passa da quelle parti.
Nel corso dell’evento i ragazzi si sono raccontati con un video realizzato da loro stessi: una carrellata di foto, del prima, del durante e del dopo la malattia. Di immagini e di riflessioni: tipo “durante la cura si deve e si può continuare a vivere”. O “la malattia non ci rende diversi da nessuno”.
Non solo sono stati tecnicamente bravi, i ragazzi, sono anche ironici. Mentre si beve e si chiacchera, passa di mano in mano una lavagnetta su cui chi vuole scrive frasi divertenti, di scherzo. Di scherzo sul cancro. La prima che vediamo? “Cancro? Io sono dei gemelli!”. La festa va avanti e sulla pagina Facebook del progetto è stato lanciato un questionario. Niente di scientifico, “Un sondaggio fake – lo definisce Giuseppe Milano – ma che fa riflettere sui luoghi comuni ancora legati al cancro”. In effetti qualcuno – parliamo di minoranze, sia chiaro – ancora ritiene che i tumori possano essere contagiosi. E qualcuno pensa sia meglio non parlare di cancro in presenza di un ragazzo che ne è affetto.
LA ZONA GRIGIA. In Italia si ammalano ogni anno 6-700 ragazzi tra i 14 e i 18 anni (e 1400 bambini). “L’adolescenza in medicina è stata per lungo tempo una zona grigia, una terra tra pediatria e medicina degli adulti. Col tempo abbiamo visto che gli adolescenti vanno trattati nelle pediatrie, con protocolli pediatrici”, dice Franco Locatelli, responsabile del dipartimento di Oncoematologia e Medicina trasfusionale del Bambino Gesù. Che a questo proposito tiene ad aggiungere che “sarebbe auspicabile che tutte le regioni italiane adottassero lo stesso criterio di definizione di età pediatrica”. Oggi non è così? “No, ogni regione fa come vuole: in alcune il limite è 14 anni, in altre è 18″.
UNA PARTITA IN TRASFERTA. Riprende l’esperto: “Gli adolescenti che si ammalano di tumore vanno accolti nelle pediatrie ma andando incontro alle loro esigenze, che sono particolari. Vivono l’età dei conflitti, della ribellione, delle paure, e quando su questo si inserisce una patologia oncologica, sembra che si interrompa il filo esistenziale. Il rapporto con loro è bello e diretto, non c’è più la mediazione dei genitori, non sono più le famiglie i nostri interlocutori, il nostro rapporto è con loro. Devi acquisire la loro fiducia, non devi tradirli. Devi essere disponibile a metterti in gioco e confrontarti su un terreno che non è più il tuo, da molti decenni. È come giocare una partita in trasferta”. Una bella partita.
repubblica.it 24.11.17
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