PISA – Studi dimostrano che la depressione compromette il successo delle cure. Ecco perché ridere fa bene. A pochi giorni dall’uscita del film La guerra è dichiarata, che tratta con delicatezza il tema dei tumori infantili, ne parliamo con Alessandro Frediani, nome d’arte Coriandolo, un medico clown (di Ilaria Lonigro) Cento anni fa La Domenica del Corriere pubblicava l’illustrazione di una donna vestita da giullare in un ospedale pediatrico: “Infermiera addetta ad un ospedale inglese che guarisce un bimbo camuffandosi bizzarramente per farlo ridere, ed è licenziata” si legge nella didascalia. Oggi le cose sono un po’ cambiate. Anche se passerà del tempo prima che la medicina ufficiale accetti come valide certe pratiche “di frontiera” della gelotologia (la scienza del sorriso), ci sono strutture, come il Santa Chiara di Pisa, che impiegano clown dottori persino nei reparti più difficili, come l’oncoematologia pediatrica. Il 70% dei bambini malati di tumore (ogni anno nel nostro Paese sono 2.100 casi in più tra 0 e 18 anni, secondo l’Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica), del resto, soffre di depressione e questa può “compromettere il successo delle cure indebolendo il sistema immunitario” stando a quanto ha rilevato l’osservatorio dell’organizzazione Soleterre all’interno dell’Istituto Nazionale del Cancro di Kiev. Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of Pediatric Oncology Nursing da J. S. Dowling, M. Hockenberry e R. L. Gregory, poi, i bambini dotati di un maggiore senso umoristico non solo hanno un migliore adattamento psicologico al cancro, ma anche minori incidenze di infezione. Ridere, insomma, aiuta a guarire. Jérémie Elkaïm e Valérie Donzelli, che è anche regista di La guerra è dichiarata, hanno davvero fatto “la guerra” al cancro del figlio Come se non bastasse, la risata è terapeutica persino per i genitori dei pazienti, sottoposti a un incredibile stress che si ripercuote, inevitabilmente, sui figli. E della voglia di scherzare per sopravvivere parla anche La guerre est déclarée, il film sul cancro pediatrico visto dalla parte dei genitori. Una storia vera: i due attori protagonisti, Jérémie Elkaïm e Valérie Donzelli, che è anche regista, sono i reali genitori che hanno fatto “la guerra” al cancro del figlio. Dopo il Festival di Cannes -dieci minuti di applausi- il bellissimo film arriva da noi il primo giugno con il titolo La guerra è dichiarata. Ma come si sta vicino ai piccoli malati? E quanto possono fare i clown? Ne parliamo con Alessandro Frediani, 35 anni, l’alter ego di “Coriandolo”, il clown che distribuisce bolle e carezze ogni giorno, da 8 anni, ai pazienti del reparto di oncoematologia pediatrica dell’ospedale Santa Chiara di Pisa, grazie al progetto portato avanti dalla federazione !Ridere per Vivere!, fondata da Sonia Fioravanti e Leonardo Spina, ideatori, nel ’90, del metodo di comicoterapia Comicità è Salute. In molti casi i pagliacci arrivano dove nessun altro può: a far mangiare un bambino dopo tanto tempo, a farlo rilassare, a farlo sfogare. Persino a non fargli sentire il dolore, più efficaci delle medicine. Miracolo? “Miracolo! Miracolo fino a un certo punto. Accade che per tanto tempo il bimbo non faccia una determinata cosa, poi arriva il clown e la fa. Se l’hai sempre visto sotto l’ottica del paziente “poverino” è un miracolo; se lo vedi dalla parte sana non lo è più. Il clown dottore si attacca alla parte sana del bimbo. Quando il clown dottore entra nella stanza, non vede il bimbo con la flebo che è in ospedale, ma cerca di vedere il bimbo che ieri giocava a pallone” . Ce la fai sempre a vedere la parte sana? “Sì, 99 volte su 100 il bimbo vuol giocare, anche nei reparti più pesanti. Solo se ha un dolore fisico o un carico emotivo immane si rifiuta”. Come aiutate i bambini? “Nelle degenze corte lavoriamo sulla terapeuticità del soffio magico. Utilizziamo la magia, gli facciamo vedere che lui ha un soffio magico, che fa accadere delle cose: fa sparire delle palline, apparirne altre. Gli diciamo: “Abbiamo visto che hai i poteri magici, ora cerca di usarli per tornare a casa. Quando alla mamma o a te fa male qualcosa, soffia un pochino e vedrai che un po’ di dolore va via”. E se il loro autoconvincimento ha funzionato, allora funziona. Il bimbo riprende potere su di sé, capisce che è importante quello che fanno gli infermieri e i dottori ma allo stesso tempo cerchiamo di restituirgli un ruolo attivo e non passivo nei confronti della sua degenza in reparto. Oppure operiamo un’azione di distrazione e di stemperamento dell’ansia, come durante i prelievi o nel corridoio che porta alla sala pre-operatoria, dove li facciamo giocare con le bolle, in modo che loro non si percepiscano più in ospedale”. E nelle degenze lunghe? “Nasce un rapporto differente. Se un bimbo è triste lavoriamo sul contenimento, magari lo accarezziamo, se ha voglia di giocare giochiamo, se è arrabbiato cerchiamo di canalizzare la rabbia, ci si fa picchiare. Il clown è il veicolo del bimbo e delle sue emozioni, canalizza le sue energie, per cui se una mattina il bimbo non ne ha voglia e dice “no”, noi non entriamo. Il bimbo quando viene ospedalizzato si arrabbia con gli infermieri, con i genitori che per forza certe cose gli devono far fare, l’unico con cui si può sfogare è il clown, ma spesso è anche quello che, dicendogli delle cose dalla sua bassezza, ha un ascendente forte su di lui”. Che tipo di rapporto avete con i genitori? “Sono molto importanti, perché tramite i genitori arrivi al bimbo. Non lavoriamo solo sul bimbo: cerchiamo di stemperare situazioni di tensione più in generale, di umanizzare l’ospedale”. Dove trovi la forza di dare forza? “Nel divertirmi in quello che faccio. Si lavora sempre in due. Coriandolo e Bazar, e Duemetri, e Doda, Rufus, Fusillo, Titina e Sullova. In tante occasioni è capitato di entrare nelle stanze già ridendo e la gente non capiva, ma la risata è contagiosa. Se tu già sei testimonianza di emozioni positive, questa cosa passa. Poi non porto il carico a casa: quando io entro in ospedale il bimbo non si relaziona ad Alessandro, ma a Coriandolo, che giù nell’armadietto si toglie il naso rosso, si leva il trucco e lì finisce. Poi c’è Alessandro…”.
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