Tumori infantili, centri di cura più efficaci
In Italia guarisce oltre l’80% di giovani colpiti da cancro e leucemie Terapie complesse centralizzate
I pionieri della pediatria italiana ebbero quarant’anni fa un’intuizione fondamentale: per combattere con efficacia le neoplasie dei bambini occorreva costruire una rete di Centri in grado di garantire livelli omogenei di cura su tutto il territorio. Ci sono riusciti, grazie all’attività dell’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (Aieop). Ad oggi, sono 53 le strutture riconosciute dall’associazione scientifica che condividono i protocolli di cura internazionali più efficaci e le terapie più innovative
Non solo: l’Aieop è riuscita anche a creare un registro di diagnosi dei tumori e per la maggior parte delle patologie sono stati identificati laboratori centralizzati di riferimento per conferme diagnostiche o caratterizzazioni molecolari. Attraverso questo lavoro di cooperazione, la speranza di guarigione per i bambini e gli adolescenti colpiti da tumori e leucemie in Italia è passata da circa il 30 per cento a oltre l’80 per cento. Il problema, adesso, è come diminuire ulteriormente il numero dei pazienti che non riesce a guarire. Questione di terapie, certo, ma anche di miglioramento dell’organizzazione. «Con i protocolli e con la centralizzazione e revisione delle diagnosi è stato garantito uno standard assolutamente accettabile – spiega Andrea Biondi, presidente Aieop e direttore del Dipartimento di pediatria dell’ospedale S. Gerardo/Fondazione MBBM (Monza e Brianza per il bambino e la sua mamma) di Monza -. Ora però ci chiediamo se siano davvero necessari così tanti Centri».
In Europa la questione della riorganizzazione delle reti dell’oncologia pediatrica si sta affrontando sostanzialmente con l’adozione del modello “hub and spoke” (mozzo e raggio di una ruota), che prevede uno o più Centri di riferimento per le patologie più complesse e ospedali periferici fortemente integrati con i primi, modulato a seconda delle dimensioni del territorio. «Ma per questo c’è bisogno di un progetto complessivo, di una visione – aggiunge Biondi -. Nell’ultimo Piano oncologico nazionale, l’oncologia pediatrica è stata inserita in extremis solo perché Maura Massimino, responsabile dell’Oncologia pediatrica dell’Istituto Tumori di Milano, ha fatto presente a Roma che di noi non c’era traccia. Questo la dice lunga su quale attenzione ci sia al problema».
In effetti, solo Piemonte e Veneto hanno una rete hub and spoke ufficialmente riconosciuta. Come funziona? «Nel nostro reparto viene fatta la diagnosi e impostato il protocollo terapeutico del paziente – dice Franca Fagioli, direttore della divisione di Oncoematologia pediatrica all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino -. Negli spoke di secondo livello sono eseguiti anche alcuni cicli di chemioterapia, ma il tutto è consolidato in istruzioni operative. In tutti gli altri spoke di primo livello si fa il supporto di base e sono seguiti bambini anche in fase avanzata di malattia e nel follow up. Tutti i protocolli di diagnosi e cura, tutti gli studi clinici, partono dal nostro ospedale, tramite il nostro Comitato etico e sono validati anche dalle altre strutture. Questo presuppone che il personale dei centri spoke, medico e infermieristico, sia formato da noi». Di eccessiva parcellizzazione dei Centri, motivata però dal progetto iniziale di Aieop di cercare di garantire i migliori trattamenti nel luogo più vicino al domicilio del paziente, parla anche Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di onco-ematologia pediatrica e medicina trasfusionale dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.
«Nel miglior interesse del bambino, credo che oggi il giusto compromesso possa essere questo – dice Locatelli -: i trattamenti meno impegnativi, più facilmente erogabili, possono certamente continuare ad essere dispensati nelle sedi più vicine. I trattamenti più complessi, il trapianto, lo sviluppo di nuovi farmaci, la terapia dei pazienti ricaduti o comunque ad alto rischio di complicanze, è meglio centralizzarli secondo il modello hub and spoke». Come nel resto della sanità, anche per i tumori infantili bisogna però tenere conto delle differenze territoriali. Nonostante la crescita dell’oncoematologia pediatrica sia sul piano dell’offerta che della qualità delle cure, il Sud infatti soffre ancora di un fenomeno di migrazione sanitaria verso il Centro e il Nord Italia, compresa tra il 20 e il 25% dei pazienti.
«Ma una certa quota di migranti è inevitabile – sottolinea Paolo D’Angelo, responsabile dell’Oncoematologia pediatrica all’ospedale Civico di Palermo -. Da noi, oltre al contingentamento delle neurochirurgie infantili, è assolutamente carente la chirurgia ortopedica ricostruttiva pediatrica che viene fatta sostanzialmente a Bologna, Firenze e Milano. I tumori dell’osso sono trattati solo in questi Centri, quindi i pazienti devono farsi curare là». L’oncoematologia pediatrica deve fare i conti con un’altro problema: «Noi italiani siamo citati in tutto il mondo come organizzazione – dice Giuseppe Basso, responsabile dell’Oncoematologia all’ospedale di Padova -. Questo però è reso possibile dal fatto che a pagare sono le associazioni dei genitori e dei familiari. Non è ammissibile andare avanti con i privati che finanziano ciò che dovrebbe finanziare il Servizio sanitario nazionale. Dal punto di vista politico, lo sforzo economico non sarebbe travolgente».