Sanità: linfoma non-Hodgkin, la cura è più vicina

MILANO – Un farmaco intelligente e spietato, che colpisce in modo selettivo le cellule tumorali: e’ questa la terapia migliore per il linfoma non-Hodgkin. Si chiama radioimmunoterapia ed e’ disponibile anche nel nostro Paese.
Uno dei vantaggi principali di questa terapia e’ la sua selettivita’: riesce ad arrivare solo alle cellule tumorali, senza intaccare i tessuti sani. Il trattamento agisce utilizzando un “proiettile” a doppia azione, lo Zevalin. “La scelta vincente per la cura del linfoma non-Hodgkin si e’ dimostrata quella combinata: farmaco piu’ radiazioni ? spiega il prof. Sergio Amadori, Presidente della Societa’ Italiana di Ematologia e Direttore della Cattedra di Ematologia dell’Universita’ Tor Vergata di Roma. – Si e’ ‘agganciato’ all’anticorpo monocolonale anti-CD20, che aveva gia’ dimostrato da tempo la sua efficacia, un isotopo radioattivo (ittrio-90) mediante un legame chimico.
Il radiofarmaco puo’ essere immaginato come un’arma potente e precisa che, trasportata dal sangue, va a cercarsi la cellula tumorale, ovunque sia, poiche’ in essa e’ espresso un antigene specifico che ne rappresenta il ‘bersaglio'”. Oggi e domani oltre 300 fra i massimi esperti italiani di ematologia e medicina nucleare sono riuniti a Milano in un convegno nazionale per fare il punto sugli sviluppi futuri di questa strategia terapeutica. Nel corso dei lavori saranno approfondite e saranno valorizzate le esperienze di alcuni dei centri di eccellenza italiani per la cura di queste neoplasie.
Con circa dodicimila nuovi casi ogni anno, i linfomi non-Hodgkin si confermano i piu’ diffusi tumori ematologici, in continua crescita. Si manifestano soprattutto tra i 40 e i 60 anni d’eta’ e sono sempre piu’ frequenti negli anziani.
Le sue vere cause non si conoscono, sono stati pero’ identificati una serie di fattori predisponesti come le immunodeficienze congenite e acquisite, le malattie autoimmuni, gli agenti infettivi non-HIV ed HIV, ed agenti chimici e fisici. I linfomi non-Hodgikin costituiscono circa l’80[%] dei linfomi totali e sono guaribili solo nella meta’ dei casi per le forme aggressive, percentuale che scende al 20-30[%] nelle forme cosiddette “indolenti”.
La terapia prevede molteplici approcci di prima linea, come chemioterapia, radioterapia e immunoterapia, dopo i quali pero’ la malattia si puo’ ripresentare. “Oggi si delineano nuove speranze di combattere questo rischio, con l’utilizzo precoce della radioimmunoterapia”, spiega il prof. Sante Tura, docente di Ematologia all’Universita’ degli Studi di Bologna. Studi recenti, cui hanno partecipato anche centri italiani, prevedono di utilizzarla fin dall’esordio della malattia per migliorare la risposta dei trattamenti “tradizionali” e ridurre al minimo il rischio di recidiva. Nuovi dati clinici saranno presentati a dicembre nel corso del congresso dell’American Society of Hematology, il piu’ importante congresso appuntamento mondiale per l’ematologia.

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